CRÉATIONS
Pascal Lorenzini
►L’ENVOL DU PHENIX
Per flauto, clarinetto basso, violino, viola, pianoforte e percussioni
Il racconto “Come la fenice” mette in particolare evidenza la dualità amore/odio come elemento strutturante dell’essere umano. L’umanità porta in sé la capacità di autodistruzione (l’esacerbazione dell’odio) e allo stesso tempo il potere di ricostruirsi e andare avanti (la magia dell’amore). Ho concepito il mio spettacolo come un viaggio musicale intorno a questa ambivalenza.
Questo viaggio inizia con la rappresentazione dell’alba dopo il caos. Il paesaggio sonoro si apre con un lungo pedale da cui emerge una linea melodica con ritmi irregolari e flessuosi del pianoforte. A questa si sovrappone una melodia scarna del flauto, a cui si aggiunge il clarinetto.
Il timbro caratteristico del clarinetto evoca poi un lamento, che utilizza quarti di tono, la cui atmosfera è resa opprimente da un ostinato acuto degli archi: forse un risveglio doloroso per l’umanità che fatica a rimettersi in piedi, per l’angelo sopraffatto da questo spettacolo desolato?
Il tempo diventa gradualmente più veloce e il ritorno alla vita progressivamente più dinamico. Si sviluppa un elemento tematico, radicato nell’ostinato del lamento. All’inizio appare vago e misterioso (anche grazie all’uso di armonizer), poi ritorna in retrogrado come Klangfarbenmelodie. Si va verso un climax cataclismatico (poliritmo vibrafono/pianoforte su uno sfondo stressante di semitoni negli archi acuti, suono spezzato e denti sull’ancia nel clarinetto, flatterzunge del flauto negli acuti estremi, cluster nei bassi estremi del pianoforte, ecc.)
Il ciclo ricomincia con una nuova alba, ancora nell’atmosfera inquieta e ambivalente dell’inizio, e poi gli elementi della vita e delle sue lotte riappaiono in varie forme. Ma invece di arrivare al climax precedente, arriviamo a una frase che rimane sospesa nell’aria, come una domanda.
Questa domanda, tratta dal testo del racconto (“Se tu sei odio, io sono amore?”) trova risposta nell’ultima parte del brano: gli elementi musicali dell’alba iniziale vengono ripresi ma trasfigurati, in modo da portarci gradualmente verso la luce e, come simbolo di riconciliazione, vengono ripetutamente accostati e sovrapposti. Questo non lascia dubbi sul messaggio positivo con cui si conclude il brano, un messaggio d’amore.
►SWEET BURNING
Per sassofono contralto e percussioni
L’idea di questo brano mi è venuta dopo i giganteschi incendi boschivi che hanno devastato l’Australia qualche mese fa. Volevo sottolineare come l’incoerenza dell’uomo potesse portare a una situazione del genere: da qui il titolo “Sweet Burning Home”, la “dolce casa” in cui si svolgono le nostre comode vite, che brucia davanti ai nostri occhi, dopo aver guardato altrove per troppo tempo.
La commedia si articola in tre parti che si susseguono senza interruzioni. La prima è un preludio, basato su una leggenda aborigena. Il sassofono e le percussioni fanno il loro ingresso su suoni di didgeridoo rielaborati con il software Logic. Si sentono suoni che imitano la fauna australiana, mentre il video si concentra sulle pitture rupestri che testimoniano la presenza dei primi abitanti di quest’isola continentale.
La seconda, più animata, è annunciata dai multifonici del sassofono sostenuti dalle percussioni e da suoni crepitanti e distorti sul nastro. Questo ci porta direttamente agli incendi e alla tensione che essi generano. Il sassofono segue linee staccate alle quali risponde il vibrafono. Alla musica fanno eco alcune citazioni dal romanzo Colline di Jean Giono, in cui il fuoco è paragonato a una bestia.
La terza parte è lenta. Si basa sugli elementi tematici della prima parte. Il sassofono suona una melodia che scende gradualmente verso il registro basso. Nel nastro sono presenti i suoni dei gong riprocessati con Logic che, in sinergia con gli strumenti acustici, raffigurano sia la desolazione conseguente agli incendi sia l’amarezza derivante dalla colpa e dall’impotenza dell’uomo di fronte alla situazione.
►STRANGE MEETING WITH EVA
Per voce di soprano e oboe/corno inglese
Quest’opera è stata realizzata nell’ambito di una mostra dedicata all’artista visiva Eva Aeppli (1925-2015), organizzata nel 2022 dal Centre Pompidou di Metz (Francia). È stata quindi concepita per essere eseguita nella sala della mostra in presenza dei visitatori e non doveva includere più di due musicisti per motivi di spazio. Tuttavia, volevo che riecheggiasse le opere dell’artista non solo all’interno della stretta cornice della mostra, ma anche che rimanesse coerente con il loro spirito in senso più ampio. E che quindi avesse un senso a sé stante.
Eva Aeppli è cresciuta a Basilea, in Svizzera. La Seconda guerra mondiale ha lasciato un segno indelebile nella giovane artista, che ha seguito con angoscia l’avanzata dei nazisti in Europa. Questa esperienza traumatica fu all’origine della sua incrollabile militanza, che si concretizzò nel 1968 con l’installazione creata in omaggio ad Amnesty International e, successivamente, con la creazione della sua fondazione per combattere l’oppressione, la povertà e l’ignoranza. L’essere umano e l’universalità della condizione umana sono il costante denominatore comune delle sue creazioni. Mentre i suoi primi autoritratti rivelano i sentimenti personali dell’artista, le emozioni ispirate dal mondo esterno vengono successivamente espresse in composizioni a olio di grandi dimensioni. Descritte dall’artista come vere e proprie “estensioni dei suoi dipinti”, le prime figurine in tessuto prodotte negli anni Sessanta seguono i dipinti.
Ognuno di essi, con le sue suggestive grida silenziose, i suoi tratti semplici ma altamente espressivi e le sue cicatrici formate dalle cuciture, inonda lo spettatore di sentimenti ambivalenti. Queste sculture di tessuto di dimensioni umane sono state poi riunite in installazioni di grandi dimensioni, come Les Sept Juges, sette sculture sedute in fila, che rappresentano coloro che hanno giudicato crimini contro l’umanità. In una delle sue opere principali, in cui tredici figure sono sedute intorno a un tavolo, che ricorda l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, la figura di Cristo è sostituita da quella della Morte “per rappresentare i crimini commessi nel XX secolo”, come scrisse in una lettera a uno studente nel 1999.
Il titolo del mio lavoro deriva sia dai sentimenti ambivalenti lasciati dalla mia prima visita alla mostra, un incontro davvero strano, sia dalla poesia Strange Meeting di Wilfred Owen, ripresa da Benjamin Britten nel suo War Requiem. Il testo cantato nel mio lavoro è infatti in parte composto dalla mia traduzione in francese della poesia di Owen. È il cuore della prima parte, molto tormentata. Questo incontro immaginario, nell’oltretomba, tra un soldato britannico e un soldato tedesco, il quale ha ucciso il primo in battaglia, mi sembrava corrispondere perfettamente allo spirito delle opere di Eva Aeppli.
Ma Eva Aeppli era anche nota per essere allegra nella sua cerchia di amici. Il testo della seconda parte del libro è il Chant d’Espoir (Canto della speranza), scritto nel marzo 1944 nel campo di Mauthausen dal poeta Jean Cayrol, risvegliato alla sua arte dal movimento surrealista. Il canto non evoca direttamente il campo, anzi ci nasconde la sua realtà.
La maggior parte del testo rimanda a un altrove ospitale e idilliaco, come se il poeta fosse impegnato in un “raduno di sogni”. Anche in questo caso, questa ambivalenza risuona con l’opera di Eva Aeppli.
Sia nella prima metà del mio lavoro, un lungo recitativo, sia nella seconda, che adotta una forma strofica a distico/riferimento, in relazione alla poesia di Cayrol, il timbro dell’oboe, poi del corno inglese, e quello della voce del soprano si rispondono in contrappunto o si combinano in eterofonia.
Con i miei più sentiti ringraziamenti ai creatori e dedicatari dell’opera: Mary-Lee Jacquier (soprano) e Serge Haerrig (oboe/corno inglese).
Eric Rebmeister
►TRAVERSIER
Per traverso, flauto e percussioni (vemes)